Mario Minari (Vignale di Traversetolo 1894-Vairo di Palanzano 1962),
Serie di n. 3 Piatti con motivi animalistici diversi
rame stampato e cesellato, diam. 35 cm

I tre Piatti con motivi animalistici diversi, una “Lotta di damigelle di Numidia” e una coppia con “Fagiani in amore”, sono pervenuti al Museo nel 2022, a seguito della donazione di Elvira Romanelli Bricoli, vedova di Bruno Bricoli, in arte “Colibri”, docente universitario e pittore autodidatta, che dell’autore Mario Minari fu buon amico.

Orafo e scultore, autore di raffinati sbalzi di soggetto animalista e di preziose opere di destinazione religiosa, Mario Minari è legato a Brozzi da sorprendenti analogie nel percorso biografico e, per buona parte della vita di entrambi, da amicizia e stretta collaborazione.

La comune frequentazione della Fonderia di Giuseppe Baldi a Traversetolo, una sorta di scuola-bottega in cui si intrecciano le vicende artistiche e le storie personali di tanti giovani di splendido talento agli albori della loro carriera; la frequenza in tempi diversi ma con le medesime difficoltà del Regio Istituto di Belle Arti di Parma; il lavoro anonimo di imitazione dell’antico su commissione dell’antiquario Ferruccio Brasi, spregiudicato talent-scout che aveva bottega a Parma in strada al Duomo; la comune partecipazione alla vicenda bellica; infine l’attrazione fatale per l’Urbe, il successivo trasferimento nei primi anni Venti presso una zia colà residente e l’inizio di una stretta collaborazione con Brozzi ospite a Villa Strohl-Fern.

Una collaborazione che spazia da piccole commissioni, affidategli dal più noto Brozzi (che tuttavia mantiene sempre la paternità finale della realizzazione) quando è oberato di incarichi, a lavori di impegno notevolissimo e di straordinario risultato, come il restauro del cosiddetto Tesoro di Marengo, portato a termine nel febbraio-marzo 1936 dopo essere stati praticamente rinchiusi insieme in un laboratorio appositamente allestito presso il Museo Nazionale delle Terme per non sottrarre i preziosi reperti all’occhiuto controllo della Soprintendenza. Riportati gli argenti del Tesoro ai loro antichi splendori, essi saranno oggetto di una breve ma celebratissima mostra a Roma, prima di approdare definitivamente al Museo di Antichità di Torino per volontà di Cesare De Vecchi di Val Cismon, all’epoca ministro della Pubblica Istruzione. Ma se nei resoconti di stampa e negli album ufficiali di foto che illustrano lo straordinario restauro compiuto, ampia lode è tributata a Brozzi, nulla invece compare a carico di Minari, che a partire da questo momento comincia a nutrire nei riguardi del collega un mai sopito rancore, ritenendosi marginalizzato ed escluso. È l’inizio di una profonda crisi nei rapporti fino a quel momento (almeno in apparenza) cordiali fra i due artisti, che andranno pian piano peggiorando fino ad esplodere, il 17 giugno 1943, in una lettera rancorosa ed aspra di Minari con cui l’artista accusa Brozzi di diffamarlo e denigrarlo nella sua arte. Parte da qui una polemica sempre più astiosa che troverà conclusione solo nel 1948, quando Nino Grossi, cugino di Brozzi e da lui incaricato, definirà ogni rapporto fra i due liquidando a Minari (che dal 1940 vive ormai stabilmente a Vairo, nell’ospitale palazzo degli amici Basetti) le residue spettanze per le sue prestazioni professionali comprensive degli interessi maturati.

Ad alimentare la polemica fra i due era la diversa concezione dell’operare artistico: mentre Brozzi rimaneva ancorato ad un eletto e speciale artigianato e al virtuosismo aulico del “pezzo unico”, frutto della maestria amorosa di straordinari artigiani-artisti, Minari pragmaticamente aveva ben chiaro che per allargare il mercato degli oggetti di arte decorativa occorreva un’offerta che, pur sempre connotata da estrema raffinatezza e da una speciale perizia tecnica, fosse replicabile (come i suoi ricercatissimi rami a soggetto religioso in metallo stampato e cesellato), e perciò rispondente alle necessità dell’uso contemporaneo, nell’intuizione del carattere industriale delle moderne produzioni, nel cui ambito anche l’artista-artigiano era chiamato a svolgere un ruolo centrale nella più ampia diffusione di ogni possibile declinazione delle arti.