Renato Brozzi (Traversetolo 1885-1963),
Cerva del Porto di Rodi, [1939]
gesso, h. 165 x 150 cm, basamento h. 8 x 139,5 x 41,5 cm

Il gesso costituisce il modello della fusione reale in bronzo di uno dei due Cervi realizzati nel 1939 per l’allora principale ingresso portuale di Rodi, lo storico Mandraki, piccolo porto militare della città antica.

Secondo le leggende locali, nel punto d’appoggio su cui svetta la coppia di colonne che fungono da supporto ai due cervi, Élafos ed Eláfina, che le antiche credenze sostengono aver liberato l’isola da un’invasione di serpenti, sorgeva l’enorme statua del Colosso di Rodi, una delle sette meraviglie del mondo classico, crollata a seguito di un terremoto nel 226 a.C.

Fitto è il mistero sulla commissione a Brozzi della coppia di Cervi. Ricordata dal biografico Rodolfo Fantini nel suo Renato Brozzi orafo di d’Annunzio dato alle stampe nel 1955, vivente l’artista, che anzi collaborò sia alla stesura che alla redazione grafica del volumetto, non ha trovato fino ad ora alcun riscontro documentale.

Probabilmente, come accaduto per altre opere realizzate durante il Ventennio e commissionate da personaggi di sicura fede fascista, fu l’artista stesso a distruggere le carte che potevano collegarlo a committenze divenute imbarazzanti con la caduta del regime.

Non avendo a diposizione documenti che possano definitivamente dissipare le ombre che ancora gravano sulla vicenda, possiamo tuttavia avanzare un’ipotesi. Alla fine del 1936 veniva nominato un nuovo governatore di Rodi, assegnata all’Italia nel 1924 con l’entrata in vigore del trattato di Losanna che sanciva la definitiva sovranità sul Possedimento delle Isole italiane dell’Egeo. Mario Lago, un diplomatico di estrazione liberal-giolittiana, che aveva introdotto un regime più paternalistico che autoritario, e ritenuto per questo troppo morbido, veniva sostituito da uno dei massimi gerarchi del regime, il quadrumviro della marcia su Roma Cesare Maria De Vecchi conte di Val Cismon, che si presentò in Egeo come colui che era chiamato a realizzare una fusione sempre più stretta fra Possedimento e Italia.

De Vecchi, già ministro dell’Educazione Nazionale, apparteneva a una famiglia della buona borghesia piemontese orgogliosamente ligia alle tradizioni patriottiche e dinastiche. Appassionato cultore di storia sabauda, abituato ai radicali restauri dei castelli del vecchio Piemonte, si mise subito al lavoro per ricostruire ex novo il Castello dei Cavalieri di Rodi, dei quali, in quanto difensori del Mediterraneo, il fascismo si reputava diretto erede, affinché fosse pronto, nel giro di tre anni, ad ospitare il re e il duce, in onore dei quali l’impresa era stata concepita. Furono fatti venire dalla Puglia 200 tagliapietre, mentre da Venezia e da Firenze giunsero esperti mosaicisti che restaurarono i mosaici romani trovati negli scavi dell’isola di Coo, montandoli nei pavimenti del Castello. Per la decorazione ad affresco delle sale fu reclutato il pittore Pietro Gaudenzi (Genova, 1880 – Anticoli Corrado, 1955), buon amico di Renato Brozzi e di Amedeo Bocchi, che fra il 1915-1916 lo ritrasse nel pannello della parete occidentale della Sala del Consiglio della Cassa di Risparmio di Parma, fra i personaggi che contribuiscono al gran fiume del risparmio collettivo portando i loro piccoli tesori individuali.

Forse proprio per il tramite di Gaudenzi, che il 26 febbraio 1938 stipulava con il “Governatorato delle Isole Italiane dell’Egeo” il contratto per la realizzazione degli affreschi rodioti (sale del Castello e abside della chiesa di San Francesco, l’unica cattolica dell’isola), giunse a Brozzi la commissione dei due Cervi da collocarsi all’ingresso dell’antico approdo portuale.

Né va dimenticato che era stato proprio Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon, in qualità di ministro dell’Educazione Nazionale, a incaricare l’artista traversetolese del complesso restauro del Tesoro di Marengo, portato a termine nel febbraio-marzo 1936 con piena soddisfazione dell’importante committente.

Con lo scoppio della guerra, la fine del regime, la sconfitta dell’Italia e la perdita del dominio delle isole del Dodecaneso, passate definitivamente alla Grecia dopo una occupazione militare prima germanica (settembre 1943-maggio 1945) e poi britannica (maggio 1945-febbraio 1947), anche i simboli e le immagini della parentesi italiana finirono nel baratro della damnatio memoriae: rimosse, cancellate come i loro autori. Eppure, non invisibili, come testimonia la coppia di Cervi all’ingresso del porto Mandraki, divenuta nel tempo uno dei simboli rodioti più conosciuti.