Renato Brozzi (Traversetolo 1885-1963), Aquilotto appollaiato su sperone di roccia
bronzo dorato, aquilotto h. 11,5 cm, base in “agata muschiata”, h. 10 cm

L’affascinate Aquilotto, arroccato su un frammento di “agata muschiata” innalzato su un basamento in marmo nero, proviene da una raccolta privata e fu acquistato dal Comune di Traversetolo per arricchire la collezione permanente del Museo nell’aprile del 1984, in vista delle celebrazioni programmate per il 1985, nella ricorrenza del centenario della nascita di Renato Brozzi.

La scultura costituisce un esempio significativo della maniera inconfondibile dell’artista traversetolese nell’interpretazione degli amatissimi rapaci, nonché della sua stupefacente padronanza delle tecniche orafe e del gusto per le ardite contaminazioni di materiali differenti. L’impiego della doratura a fuoco o al mercurio (tecnica complicata e raffinatissima tesa ad esaltare il nervoso modellato assecondando suggestive soluzioni luministiche che ne ammorbidiscono i contorni) si sposa infatti con il gusto della policromia, secondo un indirizzo preciso del déco più sontuoso che ha nelle preziose realizzazioni di Mario Buccellati, “orafo eccellentissimo” di D’Annunzio, e soprattutto nell’immaginifico bestiario di Alfredo Ravasco, il “principe dell’oreficeria”, le punte di eccellenza di uno specifico orientamento.

Sotto il tornire levigante della luce, che accentua i dettagli naturalistici della resa plastica del piumaggio, l’artista volge in alchemiche eleganze i toni luminosi del metallo con le screziature verdi-brune dell’ “agata muschiata” esaltate dall’intenso nero del marmo del basamento.

Quanto alla datazione, va osservato che il tema dell’aquila entra con forza nell’opera di Renato Brozzi a partire dagli anni Trenta, come attestano alcuni straordinari esempi che proprio in quello scorcio di tempo ebbero sulla stampa nazionale segnalazioni e plausi, quali la superba “Testa d’aquila” in fusione d’argento con occhi animati da brillanti, presentata nel 1930 alla Mostra internazionale dell’orafo accolta nelle sale della XVII Biennale di Venezia, dove ottenne il primo premio e non mancò di sollecitare l’entusiastico interesse di D’Annunzio, che la acquistò prontamente per la cifra di lire 6.000.

Nell’ampia serie di “aquile” che, pur con notevoli varianti, occuparono l’artista fino agli anni Cinquanta, quella in oggetto dovette comunque rappresentare una tappa importante, come pone in evidenza il fatto che l’artista ne replicò il modello innestandolo su basi di volta in volta differenti. Un altro esemplare di eccezionale fattura, con il rapace appollaiato su un grande frammento di marmo rosso antico e basamento in lapislazzuli dall’intenso colore azzurro oltremare (gemma sempre impiegata in opere di committenza importante), si trova a Ferrara presso la Fondazione Cavallini Sgarbi.