Renato Brozzi (Traversetolo 1885-1963), Nereide e cavalluccio marino (parte superiore del cofano portabandiera offerto al sommergibile “Fra Alberto Guglielmotti”) (copia), [1939]
bronzo, h. 13,5 cm; base in marmo antico, h. 6 x 11 x 19 cm

Il gruppo costituisce la parte superiore del cofano di custodia per la bandiera da combattimento offerto nel 1939 dalla città di Civitavecchia al sommergibile intitolato a Padre Alberto Guglielmotti (al secolo Francesco, Civitavecchia, 1812-Roma, 1893), religioso domenicano, teologo, filologo ed erudito della storia della marina militare, autore di un “Vocabolario marino e militare”, dato alle stampe nel 1889 dopo quarant’anni di studi e ricerche.

Il sommergibile, varato l’11 settembre 1938, fu la seconda unità della Regia Marina a ricevere questo nome: il primo sommergibile “Alberto Guglielmotti”, operativo durante la Prima guerra mondiale, fu affondato per errore nel marzo 1917 in Adriatico, da un dragamine inglese.

Partito da Napoli alla volta di Lisbona il 21 giugno 1939, il secondo sommergibile Guglielmotti fu successivamente dislocato in Mar Rosso, a Massaua in Eritrea.

Con il profilarsi della sconfitta in Africa Orientale, nel febbraio 1941 l’unità ricevette l’ordine di trasferirsi a Bordeaux con altri tre superstiti battelli subacquei, per poter essere utilmente impiegato nella guerra in Atlantico. Il Guglielmotti fu l’ultimo a lasciare Massaua, il 4 marzo 1941, e giunse a Bordeaux il 7 maggio, dopo aver affrontato un viaggio di 13.000 km. Rientrato in Italia nell’ottobre di quell’anno, veniva sottoposto a radicali lavori di trasformazione nei cantieri di Taranto. Il 15 marzo 1942 il sommergibile lasciava il porto tarantino diretto a Cagliari, per essere impiegato in missioni offensive nel Mediterraneo occidentale. Il mattino del 17, alle ore 6.00, mentre si trovava a sud di Capo Spartivento Calabro, veniva attaccato e silurato dal sommergibile britannico Unbeaten. Colpito in parti vitali, il Guglielmotti affondava rapidamente, con tutto il suo equipaggio. Non vi furono superstiti, e nell’affondamento andò irrimediabilmente perduto anche il prezioso manufatto realizzato da Brozzi.

Riprodotto sul numero del 6 agosto 1939 de “L’Artigiano”, settimanale della Federazione Nazionale Fascista degli Artigiani, il cofano era costituito da una grande scatola di gusto eclettico, orientata, per il ricercato decorativismo dei dettagli, verso recuperi classicisti e rinascimentali. La cassa era in bronzo patinato, sorretta da quattro delfini e ornata ai lati da bassorilievi in argento di svariato soggetto (l’effigie del dotto civitese; una veduta del porto di Civitavecchia, fino al 1870 base della Marina da guerra pontificia che per secoli si era battuta contro i corsari saraceni, turchi e barbareschi; stemmi e fasci littori inquadranti il motto del sommergibile: “Nella difesa degli oppressi e nella punizione degli scellerati”). Alla sommità del coperchio si elevava il fantasioso gruppo marino in bronzo dorato (di cui quello esposto costituisce la copia in bronzo), con una Nereide che cavalca un ippocampo bicaudato sorgente dai flutti marini, fra i quali si intravvede un delfino. La scultura rivela una più moderna sensibilità dell’artista nella semplificazione delle masse e nel trattamento generale della superficie, resa fremente dalla sommaria lavorazione della materia plastica ma non turbata da dettagli naturalistici.

La figura della Nereide su cavalluccio marino tradisce la forte suggestione di una delle Naiadi realizzate da Ettore Ximenes per il Monumento al poeta brasiliano Vicente De Carvalho, detto “il Vate del mare”, eseguito fra il 1921 e il 1925 in Brasile a Santos e riprodotto nella notissima monografia dedicata da Ugo Fleres allo scultore palermitano, sicuramente nota a Brozzi. Promossa dalla vedova Gabriella Sebregondi Ximenes per omaggiare l’artista scomparso a Roma nel 1926, fu stampata a Bergamo dall’Istituto Italiano d’Arti Grafiche nel 1928, con prefazione di Adolfo Venturi che definì lo Ximenes il “gran signore della creta”.