Renato Brozzi (Traversetolo 1885-1963),
Insegne di Montenevoso, [1932]
bronzo dorato, h. 43 cm
Il fregio in bronzo dorato è la copia delle insegne principesche di Montenevoso concepite inizialmente come decorazione per gli specchi delle porte dell’ambiente di più sontuosa rappresentanza nella residenza-museo del Comandante, la Stanza della Cheli.
Inviate da Brozzi al Vittoriale il 9 marzo 1932, furono definite da D’Annunzio “di bella fattura, di fusione e di doratura ottime”, tanto che il poeta deliberò di adottarle come “emblema per molti altri usi”, commissionandone prontamente altre tre da collocare nelle stanze del Prigione e del Lebbroso.
Il 15 marzo 1924, dopo la definitiva annessione di Fiume all’Italia col Trattato di Roma, il re Vittorio Emanuele III conferiva “motu proprio” a D’Annunzio (su iniziativa di Mussolini) il titolo nobiliare di Principe di Montenevoso, a ricordo delle sue imprese a favore dell’irredentismo giuliano dalmata.
Era il premio di consolazione per il “Comandante” d’Annunzio che, dopo aver sostenuto la causa di Fiume italiana e aver occupato la città per più di un anno, era stato attaccato dalle corazzate italiane “Andrea Doria” e “Duilio” durante il drammatico “Natale di sangue” del 1920 e costretto alla resa.
Il Montenevoso (Snežnik in sloveno; in latino Mons Albius) è una montagna di 1796 m della Slovenia, posta non lontano dal confine con la Croazia: rappresenta la cima più alta dell’Alto Carso e tra il 1920 e il 1947 segnava il confine tra l’Italia e la Jugoslavia.
Il titolo quindi non corrispondeva ad un vero e proprio feudo principesco ma, come anche altri titoli conferiti in relazione alla vittoria della prima guerra mondiale, faceva riferimento a imprese militari nelle quali la persona cui veniva assegnato si era distinta sul campo, come ad esempio il generale Armando Diaz, firmatario dell’armistizio, che fu creato “Duca della Vittoria”, o l’ammiraglio Thaon di Revel, artefice della vittoria marittima, che fu fregiato del titolo di “Duca del Mare”.
Il blasone originario, così come fu dipinto da Guido Marussig (artista dedito a una pluralità di generi e tecniche, attivo a partire dal 1921 a Gardone nella decorazione del Vittoriale), prevedeva la sagoma del Montenevoso coperta di neve e sormontata dalla costellazione dell’Orsa Maggiore, con una spada rivolta verso il basso e un elmetto modello Adrian. Il padiglione soprastante aveva il colmo in ermellino e la frangia d’oro, con la cortina formata dalla bandiera della Reggenza Italiana del Carnaro, ovvero un serpente verde su campo rosso che si morde la coda a formare un cerchio racchiudente le sette stelle a sette punte della costellazione del Gran Carro, con il cartiglio e il motto a lettere oro “Quis contra nos?” (Chi contro noi?). Dietro il padiglione sorgevano, a trofeo, le bandiere di Fiume (viola, oro, azzurro) e della Dalmazia (tre teste di leopardo coronate d’oro su campo azzurro) e come motto il grido di guerra “Immotus nec iners” (Fermo ma non inerte), da un verso del poeta latino Orazio.
Più che sullo stemma nel suo complesso, Brozzi si concentra su alcuni ornamenti dello scudo, così che l’esuberanza del cordiglio francescano, cristallizzato in volute simmetriche, accolga al centro la coppia d’ali disposte specularmente (a sottolineare la passione di D’Annunzio per il volo), le cui estremità superiori racchiudono la forma schiacciata della corona principesca sormontata da tre gigli.
Una volta realizzato il prototipo in bronzo dorato, l’artista, come sempre affascinato dal virtuosistico contrasto di metalli diversi accostati con ricercata perizia, si spingerà a proporne una versione policromata con gigli d’argento, corona e ali d’oro, cordigli di bronzo, in ossequio ad una preziosità decorativa e cromatica in linea con le tendenze più seduttive ascrivibili al Déco, ormai nella sua fase temporale estrema.
Una versione di esuberante cromatismo che tuttavia non incontrerà l’approvazione del poeta, sempre intento ad una sorveglianza “assidura” sull’arredamento della propria dimora e ben determinato ad imprimervi il suo specifico marchio, rafforzando, del pari, il suo personale ascendente sugli esecutori.