L’esposizione di questa sala si concentra sulla realizzazione della monumentale Vittoria angolare destinata ad eternare  la memoria dei caduti traversetolesi del primo conflitto mondiale, evidenziando il ruolo di Renato Brozzi in quella campagna monumentale di massa, rimasta nel tempo insuperata, che intese fissare materialmente sulle piazze d’Italia la memoria e l’iconografia della Grande Guerra attraverso l’esaltazione dell’epica del sacrificio e dell’eroismo militare sublimati nella gloria del trionfo.

Bozzetto originario del Monumento ai caduti traversetolesi

Prima e più importante opera che testimonia il coinvolgimento dell’artista nella realizzazione o nel rifacimento di opere pubbliche del paese natale, la Vittoria Angolare ebbe una gestazione alquanto laboriosa. Fin dai primi mesi del 1919 il paese si attivò per onorare con un segno concreto e significativo la memoria dei caduti del conflitto da poco concluso, di cui resta testimonianza nell’esposto Bollettino della Vittoria, ovvero l’ultimo comunicato datato 4 novembre 1918 del generale Armando Diaz, che annunciava la fine della guerra e il successo riportato dall’esercito italiano. La prima idea, considerata l’esiguità dei fondi a disposizione, fu quella di collocare una semplice targa alla memoria sulla facciata del Municipio verso l’allora via Umberto I. All’iniziativa, promossa dal Comitato di Assistenza civile di Traversetolo, si unì il Comune che ai primi di luglio nominò un Comitato col compito di individuare la forma del ricordo commemorativo e procedere al reperimento dei fondi necessari. Il Comitato prese contatti con Renato Brozzi (che dal 1915 si era definitivamente trasferito a Roma a Villa Strohl-Fern), considerato «come il primo fra i suoi figli amatissimo», affinché elaborasse un progetto. Dopo alcuni mesi, l’artista inviò la fotografia di un bozzetto che prevedeva due semplici lapidi marmoree raccordate da una Vittoria alata reggente un serto di lauro, simbolo collaudato di gloria e di eroismo. Pur apprezzato da molti, il progetto non incontrò l’approvazione dell’intero Comitato che in parte, spronato da Giuseppe Baldi (titolare dell’omonima fonderia, connotata come «artistica», e primo mecenate dell’artista), si dichiarava propenso a realizzare un vero e proprio monumento. Contattato per eseguire un nuovo progetto, Brozzi, irritato per le critiche, declinò ogni impegno. Tuttavia, le insistenze della popolazione e le pressioni delle associazioni dei reduci, preoccupate per il dilatarsi dei tempi che rischiavano di rendere Traversetolo uno degli ultimi comuni del Parmense a omaggiare i propri caduti, costrinsero il sindaco Arnaldo Finzi a riprendere i contatti con l’artista alla fine del 1921.

Il nuovo progetto modificava in senso monumentale il bozzetto originario: la Vittoria sarebbe stata realizzata come una statua a tutto tondo e, pur mantenendo intatta l’idea dell’appoggio alla parete esterna del Municipio, dal quale l’imponente figura alata doveva protendersi, ne avrebbe dilatato le dimensioni, ottenendo un monumento parietale di m. 3,50 in altezza e m. 2,50 in larghezza. La spesa sarebbe certamente aumentata, ma lo scultore si diceva speranzoso di poter recuperare il bronzo per la fusione direttamente dallo Stato per concessione di materiale bellico in distruzione. Tuttavia, nonostante la mobilitazione generale per raccogliere i fondi necessari, i lavori procedettero a rilento in un altalenante susseguirsi di entusiasmi e frustrazioni.

A contribuire alla realizzazione definitiva dell’impresa fu Gabriele D’Annunzio, con cui Brozzi aveva stretto un importante sodalizio artistico fin dal 1919: entusiasmato dal calco di un’ala della Vittoria, che Brozzi gli aveva recato, ne aveva richiesto un esemplare in bronzo per la sua dimora di Gardone. L’effigie monumentale avrebbe dovuto essere sistemata in un primo tempo sul chiostro della Prioria (ovvero la casa del «frate priore», come amava definirsi il poeta), ma poi, essendo intervenute enormi difficoltà nel collocamento, fu di fatto montata nel parco del Vittoriale, sulla prua della nave Puglia, «reliquia adriatica» donata nel 1923 al Vate dal governo. Proprio ai buoni uffici di D’Annunzio si deve anche il dono del «bronzo guerriero» per la fusione delle due Vittorie, concesso da Diaz, all’epoca ministro della guerra.

Collocamento della Vittoria navale sulla prua della nave Puglia, settembre-ottobre 1928

Nel gennaio 1923, per il tramite di Brozzi, il poeta annunciava di aver realizzato un’epigrafe per «la bella e maschia Vittoria angolare», accompagnando il dono con un vibrante messaggio ai traversetolesi, in cui assicurava la sua presenza per l’inaugurazione. L’entusiasmo del paese a questa notizia fu tale che la Giunta, su sollecitazione del Comitato, deliberò di dedicare a D’Annunzio la vecchia via Petrarca e di intitolare una strada anche ai tre fratelli Cantini, tutti caduti nel corso del conflitto.

Inaugurata il 27 maggio 1923 con una cerimonia di grandiosa solennità (di cui è qui esposta una selezione di otto fotografie scelte nell’ambito della ricca documentazione approntata per l’occasione dal fotografo parmense Alberto Montacchini), la Vittoria di Traversetolo costituisce una delle prove più convincenti dell’artista nell’ambito della monumentalistica celebrativa, di cui offre un’interpretazione meno convenzionale e priva di orpelli pittoreschi, distante da un troppo diretto naturalismo e già avviata, attraverso i richiami alla tradizione classica rivisitata da un modellato fortemente innovativo nelle sottili levigature dei piani (retaggio della sua attività di cesellatore), verso il vistoso indurimento e le asciutte simmetrie di ascendenza déco, come ben documenta anche la bella Testa in gesso patinato color bronzo dell’imponente figura, esposta nella vetrina d’ingresso, dal volto quadrangolare già orientato verso un’accentuata stilizzazione antinaturalistica.

Testa della Vittoria angolare

Completa il quadro delle commissioni celebrative connesse al culto della Grande Guerra lo studio preparatorio alla Spada d’onore eseguita su disegno di Ettore Tito ed offerta trionfalmente nello storico cortile del Palazzo Ducale di Venezia il 3 settembre 1919 ad Armando Diaz, che aveva arrestato al Piave l’avanzata austriaca. In argento massiccio, con lama in acciaio ageminato ed elsa costituita da un vigoroso nudo virile con il capo coperto dall’elmetto del fante italiano che calpesta un’aquila bicipite, la spada costituisce un pezzo straordinario sia per sontuosità decorativa sia per il colto messaggio che intende veicolare, carica com’è di rimandi ad una grandezza antica rinnovata dalla tensione eroica del presente.

Disegno preparatorio alla Spada d’onore per il generale Armando Diaz, 1918

Alle pareti sono esposti i disegni progettuali dei grandi medaglioni marmorei con i fregi delle armi combattenti realizzati nel 1960 per il monumento commemorativo dei caduti parmensi di tutte le guerre da innestarsi nelle incassature murarie del tamburo della torre di San Paolo.

Al centro della sala, in un grande tavolo ovale, una selezione di taccuini con disegni e schizzi, di grande interesse sia per l’utilizzo di un’ampia gamma di tecniche grafiche sia per la straordinaria varietà dei soggetti che spaziano dai prediletti animali ai paesaggi legati alla forzata permanenza a Cagliari nel periodo dell’arruolamento, a partire dal giugno 1917, nel 16° battaglione della milizia territoriale, mira ad evidenziare quella che fu la caratteristica peculiare dell’artista, ovvero una sorta di ingordigia visiva, segno della fertile curiosità critica che ne accompagnava il talento naturale e che si traduceva nella pronta e larga ricettività nei confronti di stimoli e suggestioni esterne.

Taccuini con schizzi di animali