La piccola sala intende restituire l’atmosfera raccolta e segreta del laboratorio di Renato Brozzi a Villa Strohl-Fern, dove non è difficile immaginare l’artista intento al suo lavoro, rinchiuso fra le pareti del piccolo ambiente come fra le quinte di un sacrario che custodisce i ritratti in gesso degli amici più cari, mentre lavora instancabilmente, quasi maniacale nella sua ansia di perfezione, riuscendo di volta in volta a cogliere la scintilla della bellezza.

I bozzetti in gesso, presentati con apparente casualità su semplici mensole realizzate su modello di quelle che erano effettivamente presenti nello studio (documentate da alcune foto d’archivio), evocano quel senso di “disordine” e di vissuto tipico di un’officina, mentre la serie di ceselli in acciaio (lunghi in media una decina di centimetri e posti in verticale entro contenitori cilindrici, in modo da mostrare ognuno la propria forma), la Targa con alberi tracciati a inchiostro per guidare le linee dello sbalzo, la pietra con pece e Placchetta con gattino pronta per essere lavorata, le numerose basi per sculture in marmo antico, alludono al lavorìo segreto di questo ambiente intimo e quasi magico.

Particolare attenzione meritano alcuni bozzetti preparatori da porre in relazione con le vicende creative di committenza dannunziana, come i modelli della Coppa del liutaio o del Pulcino («tanto saporitamente trattato che, per mangiarmelo beato, attenderò ch’ei sia pollastro») inviato al Vittoriale nel giugno 1931 e subito collocato fra gli innumerevoli bibelot raccolti nella Veranda dell’Apollino.

Uguale interesse suscitano altri gessi che non possono essere considerati come bozzetti preparatori ad una traduzione in metallo o marmo, ma che si connotano come sculture autonome, sia per la presenza di dettagli ornamentali accurati e precisi sia per la scrupolosa patinatura; un Istrice recante sul dorso una corona, in gesso patinato a imitazione legno; una coppia di Gattini in lotta, in gesso patinato bronzo; una Testa di gatto in argilla essiccata; un Busto di fanciulla africana, in cui la volumetria semplificata del volto dalle ampie orbite vuote si impone sugli effetti virtuosistici dell’acconciatura a treccine sapientemente disposte in capziose geometrie.