La sala ospita alcune tra le testimonianze più raffinate riferibili all’esperienza veramente esclusiva, gratificante (ma non di rado martoriante), vissuta da Renato Brozzi nel suo rapporto con Gabriele d’Annunzio, autorevole committente di oggetti d’arredo per il suo sontuoso Vittoriale e di una serie pressocché infinita di «inezie squisitissime» per piccoli doni simbolici, nonché ispiratore di affascinanti trofei.

Gli oggetti e i documenti qui raccolti evidenziano alcune tappe fondamentali del rapporto instauratosi a partire dal 1919 fra l’Imaginifico e uno degli artisti che più sono entrati in sintonia con lui negli anni della radicale ristrutturazione e dell’allestimento della sua ultima dimora, ed esprimono la perfetta concordanza di gusto e di stile fra il poeta e l’artista.  Un percorso che non è soltanto una conferma del gusto operativo di D’Annunzio (gusto incallito, fatto di direttive precise e di controllo minuzioso) nella scelta e nella commissione di oggetti d’arredo per la sua residenza, ma è anche un viaggio nella lettura e rilettura di alcune opere di grande fascino che compongono le collezioni del Vittoriale degli Italiani, ed una riscoperta della complessità culturale a tali opere sottesa.

Si parte dalla Targa con leone reggente fra le zampe una cetra donata dalla «Legione orfica», ovvero dall’Orchestra Toscanini, al grande Maestro dopo il concerto diretto a Fiume il 21 novembre 1920, preparata da Brozzi attraverso numerosi studi caratterizzati da un’audace esuberanza inventiva sempre rintuzzata da D’Annunzio fino alla scelta dell’ultimo, definitivo disegno, contraddistinto da un’impostazione più sobria ma di esplicita monumentalità.

Disegno preparatorio per la Targa ad Arturo Toscanini, 1921

Si prosegue con una serie di straordinari studi per trofei, nei quali l’immediatezza delle suggestioni naturali è tradotta in formule decorative di aulica stilizzazione e di potente forza simbolica: da quelli per la Coppa del Benaco (posta in premio nel 1921 alle gare di idrovolanti sulle acque del Garda e riedita nel 1930-’31 con il nome di Coppa dell’Oltranza) a quelli per la Coppa del Liutaio (posta in palio agli «agonali del remo» di Salò nel 1923), qui presente nella versione in bronzo dorato a fuoco, che l’artista conservò nel suo studio per tutta la vita.

Disegno preparatorio alla Coppa del Liutaio

Nella più grande delle vetrine trovano posto i motti latini vergati dall’Imaginifico per le Scodelle del Refettorio di Cargnacco (1922-’23), undici piatti in argento (D’Annunzio non ha mai fatto mistero della propria atavica superstizione, che lo portava ad escludere la presenza di un Giuda a tavola) ornati lungo la tesa dal motivo del cordiglio monacale sulla falsariga dell’iconografia conventuale che in quegli stessi anni connota la trasformazione in «Eremo francescano» della Prioria, corpo centrale e residenza vera e propria del Vittoriale. Nella stessa vetrina particolare attenzione meritano le foto d’epoca della «maravigliosa Cheli» (1925-‘28), bronzeo animale racchiuso nel carapace di una tartaruga vera morta di indigestione nei giardini per un pasto profumato di tuberose, che nel tempo sostituirà con la sua presenza ammonitrice un simbolo diverso di sobrietà, l’«Angelo dell’astinenza» (con cui D’Annunzio identificava se stesso, e del quale sono esposti alle pareti alcuni studi preparatori), finendo col dare il nome di stanza della Cheli al colorato cenacolo dell’Angelo, la sala più scenografica della Prioria e la sola «che non sia triste» come sottolineava il Poeta stesso.

Vittoriale degli Italiani, Tartaruga detta “Cheli”, 1928

Nella vetrina a parete sono esposti altri oggetti curiosi, piccoli doni allegorici sollecitati dalla proverbiale abitudine del poeta, «donatore perpetuo», ad elargire omaggi, ribattezzati con virtuosismi linguistici straordinari e caricati di un’aura di preziosità: le Medaglie e i Gemelli da polso con elefante guerriero (1926), con cui il Comandante era solito onorare veterani, reduci ed amici «di sicura fede dalmatica» (anche Mussolini li ebbe, nell’ottobre del 1926); gli Anelli «del cuor rosso», con rubino cuoriforme entro motivi animalistici e il motto «Cum pennis cor»; le Spille «del Gal d’Or» (1927), ironica e beffarda onorificenza con la quale il poeta si vantava di aver «incavalierato molti fessi e fessacchioni»; le Tartarughine in argento dorato e oro (1932-’33), immaginate come «impicciolimento della Cheli»; le Spille dell’Occhio alato, per le quali l’incontentabile recluso mise in croce il suo artista di provincia costringendolo a produrre una serie infinita di varianti, dal 1930 al 1934, prima di raggiungere una soddisfacente traduzione plastica.Da ultimo, fra i tanti oggetti singolari meritano particolare menzione le Insegne di Montenevoso (1932), in bronzo dorato, per gli specchi di porte e armadiature; gli studi per Griglie copriradiatore con motivi animalistici diversi (1937); i disegni con varianti e il modellino in gesso della Culla offerta dalla Federazione degli Artigiani al neonato Romano Mussolini (1928), per la quale sarà proprio D’Annunzio a suggerire all’artista l’idea progettuale vincente.

Insegne di Montenevoso, 1932